L’identità “narrabile” sulla Time Line
di Fabio Tamanza e Monica Matticoli
Da “Strategie. Rivista Italiana di Programmazione Neuro Linguistica”,
n. 4, gennaio –aprile 2004, pp. 14 - 19
Karen Blixen 1...] in un bellissimo racconto
intitolato Il secondo racconto del cardinale affronta li problema
del rapporto tra narratività ed identità, descrivendo la seguente situazione: c’è una
signora che chiede al cardinale: “Ma tu chi sei?”, e a questa domanda “chi sei?” li
cardinale risponde: “Risponderò con una regola classica: racconterò una storia”.
[Il] “chi sei” ha una sola risposta intesa come risposta verbale che può rendere
il suo contenuto dotato di senso. Risposta che si dà nel discorso e che ê appunto la
narrazione, il raccontare una storia. In questo caso è ovviamente la storia di una vita.2
Adriana Cavarero, L’identità (intervista
radiofonica)
Una delle cornici cognitive pin
interessanti del modello PNL è quella che Tad James e Robert Dilts per primi
definirono Time Line e riguarda la capacità umana di immagazzinare i ricordi
secondo una sequenza spaziale. All’interno di questa cornice sono state prodotte
negli anni varie tecniche, focalizzate soprattutto sulla risoluzione di
problemi, che consentono ad un individuo di viaggiare lungo il proprio tempo
interno in un setting terapeutico.
E' interessante
notare come già nell’ antichità esistesse la tendenza degli esseri umani a
manipolare i contenuti psichici biografici allo scopo di vivere una vita più
equilibrata e felice. Per gli stoici, ad esempio, obiettivo di tutti gli
ammaestramenti era plasmare il carattere e ciò si realizzava principalmente con
la deliberata ripetizione a livello fantasmatico di certe esperienze
problematiche. Negli esercizi di pensiero degli epicurei i discepoli cercavano
di vedere la propria esistenza da differenti punti di vista esterni per
verificare quanto apparissero piccole, viste da lontano, le preoccupazioni e le
difficoltà. Pratiche di questo tipo ci fanno capire il bisogno che da sempre
gli esseri umani hanno di ripensare la propria vita allo scopo di produrre
cambiamenti in direzione di un maggiore benessere.
In termini PNL la Time Line è una
rappresentazione interna in VAK completo, per la maggior parte inconscia o
non ricordata, degli eventi vissuti nel passato O
immaginati per il futuro, e ha a che vedere con la
dimensione dello spazio. A livello di visivo interno è infatti la
sottomodalità distanza/posizione che esprime il modo in cui l’esperienza
ricordata è collocata dal soggetto nel tempo rispetto al presente. La
“spazialità” del tempo interno è dunque il modo strategico del Sistema Nervoso
Centrale per immagazzinare dati relativi al succedersi delle esperienze che consente
all’individuo di richiamarli alla memoria in sequenza diacronica. Chi si
occupa di PNL ha certamente sperimentato quanto tutto questo consenta di
lavorare in maniera molto efficace su quelle esperienze, passate o ipotizzabili
per il futuro, che il cliente percepisce più o meno consciamente come causa di
problemi attuali.
Qualsiasi tecnica si applichi in
PNL utilizzando la TL, dalla semplice disconnessione emotiva da un ricordo
spiacevole al trattamento dell’ansia, al reimprinting, si fa ricorso ad un presupposto: spostandosi lungo il
proprio tempo interno, gli esseri umani mettono in pratica la capacità di
sovrapporre la struttura del momento presente con quella di un momento passato
o futuro. Così se il soggetto accede, lungo la TL, ad un’esperienza traumatica,
la sua neurologia acquisirà in parte le caratteristiche del momento in cui
l’esperienza è stata vissuta realmente e in parte le caratteristiche del
momento presente, in cui sta ripercorrendo la stessa esperienza con nuove
risorse, prima fra tutte quella di essere
qui, e di esserci
ora. Sulla
Time Line il soggetto è inoltre in uno stato di trance in cui, secondo la
definizione ericksoniana, il livello di attenzione ai processi interni è
altissimo. Da un punto di vista neurologico questo vuol dire attivazione della
corteccia frontale, cioè di quell’area del cervello responsabile anche della
memorizzazione verbale e visiva: l’esperienza visiva immaginata si sovrappone
a quella ricordata modificandola e modificando di conseguenza anche l’influenza
che essa ha sulla vita della persona. Come ricorda Ian Robertson, lo psicologo
canadese Donald Hebb ha studiato l’attività cerebrale durante l’apprendimento e
la memorizzazione dimostrando che, se due o più gruppi di neuroni la cui
attività è responsabile di rappresentazioni interne diverse vengono eccitati
insieme, da quel momento tenderanno a lavorare come se fossero un insieme
unico, qualunque sia il richiamo mnemonico attivato. Dal momento in cui è stata
vissuta l’esperienza di risorsa sulla TL le aree implicate nel ricordo saranno
dunque legate alle aree implicate nel vissuto sulla TL, generando per questo
nuove connessioni neurotiche e quindi nuovi significati per Ia persona..
La Time Line è dunque uno
strumento utilizzato da chi pratica PNL con l’obiettivo di sostenere il
cliente in un processo evolutivo e di cambiamento e viene utilizzata per
risignificare esperienze riconosciute essere causa di stati interni,
atteggiamenti, sintomi psichici o fisici più o meno importanti e invalidanti
per la persona. La guida invita il cliente a ripercorrere Ia propria traiettoria di
vita per recuperare uno o più eventicausa su cui intervenire insieme
affinché la persona ne modifichi la percezione e ne riconfiguri le relazioni
con il vissuto rendendo praticabile per sé un altro possibile orizzonte di
senso. La ricerca è direzionata sul recupero di materiale esperienzale e interpretativo spesse volte
inconscio cui la persona, più o meno consapevolmente, imputa un determinato
impatto sulla propria vita: sostenuto nella ripercezione
dell’esperienza, il cliente potrà generare un altro impatto pin ecologico del
precedente.
Nella lettura che proponiamo la
TL è un modello generativo sul cui scenario accade, nel qui ed ora, quella che
Luce Irigaray chiama <alleanza>fra me e te, fra una guida e un cliente,
una cliente. Un’alleanza che presuppone che siamo proprio io e te, incarnati,
separati, a dare vita qui, in questo momento, a! “terzo”, a quella precisa e
irripetibile relazione che è essa stessa metarisorsa per un cambiamento che
non può che riguardare entrambi i soggetti che non sono semplicemente me e
l’altro da me ma che siamo io e te. Con Irigaray e soprattutto con Adriana
Cavarero ma anche con tanti piennellisti ci piace uscire dall’uso globalizzato
della denominazione “l’altro (da sé)” e parlare di un
tu incarnato che
ha un corpo e una storia, di un tu sensorialmente basato, identificato e identificabile
nella sua unicità di esistente che si mostra a! mondo. L’alleanza si genera
dunque dentro uno spazio e dentro un tempo (setting) e ha per soggetti due
identità incarnate che scelgono di incontrarsi poiché io (cliente) desidero che
tu (guida) mi rinarri la storia che ti racconto, quella di cui io sono il, la
<protagonista>.
La Time Line non è una magia né
tantomeno è la mia vita o addirittura me. Essa non è niente di più che una
linea immaginata, un escamotage visivo, cenestesico se si vuole, che permette
all’ <unicità> della mia identità, al mio
daimon, di dispiegarsi e
di disegnarsi in uno dei modi possibili in quel momento della mia storia; è
volta per volta una differente possibilità di lettura, di
ascolto di me che si realizza perché scelgo, direbbe Michail Bachtin, di
extralocalizzarmi, di posizionarmi rispetto al mio vissuto: da lì posso, insieme a te, trasformare il
racconto autobiografico che faccio di me a te, a me, nel racconto biografico
che tu rinarrerai a me, a te. La narrazione che tu farai della mia storia mi
permetterà di trovare il
chi della storia narrata e di allucinare la mia
identità. Come Ulisse alla corte dei Feaci che, ascoltando un cantore cieco che
racconta le sue gesta, si riconosce nel racconto e Si commuove scoprendo chi è, io posso riconoscermi
nella luce riflessa della stona che mi rinarri. L’identità è dunque, come la
definisce Cavarero approfondendo la riflessione di Paul Ricoeur,
<narrabile>, e narrare storie vuol sempre dire inserire qualcuno in un
discorso più ampio che è anche <memoria>, vuol dire legare una storia di
vita in <catene narrative> con altre storie, prime fra tutte le storie
familiari. <Raccontami la mia stonia> dice ancora Cavarero, perché la mia
soggettività non è irrelata, non ha a che vedere col cartesiano <penso
dunque sono> ma con <l’essere accanto a te>, con <l’esserci anche
tu>: l’identità ha sempre dunque uno <statuto relazionale>. Se ciò è
vero, avverte la filosofa, è anche vero che se ti chiedo di raccontarmi la mia
storia non otterrò sempre una risposta, e soprattutto la risposta che otterrò
non sarà mai univoca, vera, definitiva. Comprenderò invece come, nell’apparente
casualità della mia vita, possa volta per volta rintracciare una sorta di
<trama narrativa> in cui l’unità non è verità ma è semmai un <oggetto
del desiderio> che mi spinge a cercare nella mia vita un possibile
<disegno>, che mi spinge a leggere la mia storia come una specie di
<figura>.
La Time Line può dunque essere
utilizzata per ricercare una trama possibile soddisfacendo così un bisogno
profondo di senso: <[f]ra identità e narrazione […]
c’è
infatti un tenace rapporto di desidenio> [Cavarero 2003, 46]. Dopo avermi
aiutato a recuperare, guidandomi a riviverli in associato, certi episodi della mia vita, puoi stimolarmi a
ricercare una trama, puoi aiutarmi a narrare una storia che connetta episodi
che mi sembrano slegati. E puoi cominciare a fare ciò guidandomi nella
posizione meta, nella posizione privilegiata per aiutarmi a parlare di me senza
ricercare una causa o risolvere un problema o cambiare la mia storia. Milton
Erickson suggeriva di <confezionare sempre su misura> gli interventi
terapeutici poiché io sono unico, io sono unica, anche all’interno di un quadro
patologico obbiettivabile. Così, se tu riaffabulerai il mio racconto, non mi
giudicherai ma semplicemente mi racconterai per come la mia storia ti è
risuonata dentro e perché avrai riconosciuto il mio desiderio di individuare
un possibile senso. Non è importante che tu mi racconti bene o male, che usi
un linguaggio forbito o un linguaggio semplice, che il tuo racconto sia lungo
o breve: è importante che tu lo faccia anche mostrandomi quella parte della
finestra di JoHary in cui si celano le cose che gli altri sanno di me e che io
non conosco.
Nella cornice cognitiva della TL
è già implicita la relazione tra il soggetto che racconta la propria storia e
la guida che lo aiuta e che contribuisce a creare nuove trame, nuove figure.
La (ri)affabulazione della storia accade ad un duplice livello. Nel primo,
quello metodologico, è l’esperienza stessa della dissociazione a presentare un
tu implicito: io ascolto la mia storia raccontata da un
tu che
sono io dissociato mentre tu guida mi aiuti a mantenere la dissociazione. Nel
secondo livello, che possiamo definire formale, tu guida suggerisci a me
cliente una nuova struttura, la Time Line appunto, che mi consente di
organizzare i miei contenuti in una nuova figura: mi dai un vocabolario ed una
sintassi differenti dai miei, mi aiuti a comprenderli e ad utilizzarli, mi
guidi verso una possibile riorganizzazione delle mie esperienze. Se ciò accade, o dovrebbe
accadere, in ogni forma della relazione d’aiuto, la Time Line si
differenzia da altre comici cognitive per via di un presupposto formale che si
gioca nel momento stesso in cui guida e cliente stipulano l’ alleanza che gestiranno nella cornice
della TL. Per sua struttura la TL si dispiega
infatti come se fosse un “filo”, ha cioè in sé il presupposto, che dà come
senso istantaneo perché le è appunto strutturale, che gli episodi narrati in
quel modo e in quel momento abbiano un filo conduttore. Presuppone dunque, e
la dà come metarisorsa, la continuità fra eventi altrimenti casuali, eventi
che si
organizzeranno, nel momento in cui verranno (ri)narrati, in una specifica
trama. Inoltre sulla TL la continuità come metarisorsa si dà in VAK. Ciò
consente alla persona, alla luce di quanto detto all’inizio di queste pagine,
di vivere l’esperienza (ri)narrata sulla TL “come se” fosse vera e di
utilizzare la disposizione dei ricordi che si sta delineando per soddisfare un
desiderio di senso.
La struttura proposta da un altro
mi permette dunque di riraccontare la mia vita. In dissociato riparlo di me
sulla struttura narrativa che tu mi proponi ed entrambi condividiamo le parole
che seguono, giacché è questa la base della nostra alleanza, del nostro patto
narrativo: <“la storia di vita in cui siamo impegnati lungo tutto il corso
della nostra vita non ha alcun visibile o invisibile artefice perché non è
fatta”. Anche se per chi agisce “il significato dell’atto non consiste nella
storia che consegue”, dal succedersi delle sue rivelazioni attive
risulta sempre
una storia, la
sua storia di vita. Egli non ne è l’autore, ne è perô il
protagonista. La storia, risultata dalle sue azioni, è così una trama
impalpabile che va in cerca del suo racconto, ossia del suo narratore. Anche se
una storia di vita non ha mai nessun autore, essa ha però sempre un
protagonista un eroe, come non a caso, si dice e, qualche volta, un
narratore. Infatti, se vogliamo continuare a seguire Hanna Arendt, solo una
storia inventata rivela un artefice che, a buon diritto, si può definire il suo autore. Una storia di vita
fa invece del suo narratore un semplice biografo. Egli si limita a comprendere
la storia che l'attore si è lasciato dietro e a metterla in parole. L’identità
personale dell’attore, che si rivela in modo intangibile nelle sue azioni, diventa così alla
fine tangibile nella narrazione: “possiamo sapere
chi qualcuno
è o fu solo conoscendone la storia di cui egli è l’eroe – la sua biografia in
altre parole” [Cavarero 2003, 37—38].
Entro la cornice cognitiva della
Time Line si può pertanto scegliere di spostare il focus dal problem solving e
dalla guida alla ripercezione dell’esperienza (che prevede un intervento volto
a modificare, seppure solo a livello strutturale, i fatti accaduti), alla
riconfigurazione narrativa delle esperienze di vita così come sono raccontate
dal cliente in una data interazione con la guida. L’obiettivo sarà allora la
ricerca di un possibile nesso che leghi, nel qui ed ora della (ri)narrazione,
eventi casuali, sarà la messa in evidenza di un “filo” che riorganizzi detti
eventi in una figura che riveli l’attore dei fatti, <il
chi dell’azione>,
l’identità del soggetto. L’alleanza fra cliente e guida che nasce dal
desiderio (<raccontami la mia storia>), lo statuto relazionale
dell’identi tà narrabile e la consapevolezza che la figura che si delineerà
sarà solo una delle possibili figure che potrebbero disegnarsi, fanno da sfondo
all’approccio che proponiamo
3. Tutto ciò trova fondamento nel
presupposto che il disegno, e dunque il “senso” che esso veicola, non esiste
negli eventi quando essi si svolgono, mentre cioè si agisce la vita ed essa si
dipana, né tantomeno preesiste ad essi e gli eventi semplicemente lo esprimono:
il disegno che viene fuori dalla composizione degli eventi narrati non c’è nel
ricordo né tantomeno c’era nel momento in cui quegli eventi venivano vissuti
ma compare nel qui ed ora della (ri)narrazione, si delinea in uno fra i tanti
modi possibili e mostra il
chi, l’identità dell’attore della storia
raccontata. Il senso che ne deriva è dunque legato all’identità: la narrazione
non esprime un senso preesistente ma esso viene configurato, disegnato, nel qui
ed ora di quella speciale interazione, unica anch’essa nelle sue modalità e
temporalità, storicamente collocabile e avente tutti gli attributi della
storicità. Rintracciando il
chi dell’azione nei fatti narrati si
rivela così l’identità.
Non si tratta dunque di andare alla ricerca di quel senso, di quel nesso, di
quel “filo” che precedono l’esperienza sulla TL: essi
non esistono ancora ma vengono alla luce in quel momento e sono solo alcuni fra
i tanti possibili. Pertanto, se le costellazioni in cui si legano gli eventi
sono instabili e variabili sono i nomi
che ad esse possono essere dati, uno soltanto è però l’attore, il protagonista,
il soggetto, il
chi, ed egli è il metaobiettivo della ricerca.
La nostra riflessione si avvicina dunque al lasciare che una storia si
inventi da sé” che fa da
sfondo al lavoro di James Hillman, al modello delle costellazioni familiari di
Bert Hellinger e a certi approcci terapeutici di Milton Erikson come quello
raccontato nell’
Uomo di
febbraio. In questa famosa esperienza Erickson, attraverso una sorta di
ricostruzione biografica della vita di una paziente in stato di regressione
ipnotica, mostra il suo principioguida per cui l’ipnosi ha il solo scopo di
creare uno stato psicologico speciale in cui i pazienti riassociano e riorganizzano
la propria complessa struttura psicologica. L’ipnosi può curare nella misura
in cui non cambia il paziente né ne altera i vissuti ma gli consente piuttosto
di saperne di più su di se mediante una riorganizzazione delle proprie
esperienze e dei propri significati.
La
modalità di utilizzo della Time Line che proponiamo presuppone pertanto
l’assunzione di un atteggiamento non interventista rispetto alle storie di
vita, atteggiamento peraltro coerente con certi presupposti della PNL come ad
esempio quello secondo cui ogni accadimento in una vita ha avuto ed ha ragion
d’essere proprio così come è stato: si tratta quindi di comprenderne il valore
storico in una logica (auto)biografica. In termini di livelli logici riteniamo
che la possibilità di fare, oggi, una simile lettura della cornice cognitiva
della Time Line, confermi il passaggio del modello PNL nella sua “terza era”,
da noi intesa come occasione d’indagine, ancorata ai vissuti e
pertantoconsapevolmente sensorialmente praticabile, avente come soggetto e come oggetto l’identità.
La nostra riflessione ha
cominciato a generarsi
quando ci siamo posti la domanda: <cosa succederebbe se ascoltassi i
fatti che mi narri senza attivarmi per far sì che tu ne modifichi la percezione
ma con il solo scopo di apprendere la mia storia e di riraccontartela?>.
Non abbiamo cercato una risposta perché crediamo che la sfida sia nel porre
domande, non nel dare risposte, e in questo troviamo che il modello PNL sia
davvero il contesto adatto perché sa anche aspettare che sia l’esperienza
altrui a rispondere. Le pagine che proponiamo rappresentano il resoconto delle
riflessioni e delle letture che hanno sia prodotto che approfondito la nostra
domanda, e sono anche l’essenza di azioni attivate nella pratica e sulla cui
base ci sentiamo di suggerire delle lineeguida praticabili. Dalla nostra esperienza infatti, l’effetto che
deriva da questa modalità di utilizzo della Time Line è la scoperta, da parte del soggetto, di sensi
profondi, come direbbe Hillman, che prima erano celati nella “confusione” della
memoria: il processo interno di ripercezione di sé si attiva senza essere
“cercato” dalla guida ed è in grado di generare ampi spazi di evoluzione nella
mappa del mondo del cliente.
Prima proposta sperimentata in gruppo4.
Il cliente identifica in
dissociato cinque episodi salienti della propria vita; la guida lo porta in
associato sulla TL e lo aiuta a raccontare più diffusamente quegli episodi. Il
gruppo assiste. Terminata questa prima fase, almeno tre partecipanti a turno
utilizzano i racconti del cliente e gli (ri)narrano una storia connettendo i
pezzi di vita ascoltati: nel fare ciò, i narratori sono liberi di creare ogni
genere di connessione come se ognuno di loro fosse 1’ aedo alla corte dei Feaci
che narra la storia di Ulissecliente. L’obiettivo è la narrazione di più
storie verosimili in cui si possa riconoscere il biografo, ossia il
partecipantenarratore
5, e il
chi dell’azione, ossia
l’identità del cliente.
Seconda proposta sperimentata in
coppia6.
Il soggetto viene invitato a
collocare sulla propria TL alcuni episodi importanti della propria vita. La
guida lo conduce poi sulla TL affinché li racconti in associato. Il cliente
viene successivamente guidato nel presente e invitato a raccontare in
dissociato, come se fosse un
tu, quegli stessi episodi: la guida aiuta
il cliente a identificare il possibile disegno tracciato durante la
narrazione, la figura che secondo il cliente può connettere, qui ed ora, quei
racconti. L’obiettivo è dare una possibile risposta alla domanda: “chi è 1’
attore di quel racconto, chi sono io?”.
Note
1 Qualora non sia esplicitamente
citata Ia fonte, le parentesi uncinate << >> riportano la
terminologia utilizzata da Adriana Cavarero negli scritti della
Bibliografia
di riferimento.
2 Le parentesi quadre [ ]
segnalano gli interventi sul testo.
3 Anche il reimprinting e il
cambio di storia sono riaffabulazioni, ma nella nostra lettura dette tecniche
hanno per obiettivo una riconfigurazione, presupposta mobile, dei vissuti, una
riconfigurazione in cui l’unica certezza è la possibilità di riconoscere il protagonista
di fatti sempre diversamente aggregabili. L’interpretazione e il senso che il
cliente può ritrovare nascono nel qui ed ora e lo aiutano a riconoscere la
propria “presenza” nella storia che sta raccontando. Ci preme inoltre
sottolineare come i medesimi fatti possono venire legati, in situazioni
terapeutiche diverse, con altri nessi veicolando così sensi differenti:
l’elemento comune che le differenti (ri)narrazioni evidenzieranno sarà però
sempre e comunque il soggetto dell’azione. Sullo sfondo della narrabilità
dell’identità la cornice cognitiva della Time Line esprime dunque pienamente, a
nostro parere, il potenziale di modello generativo ed evolutivo che le è
proprio.
4 Una variante di questa proposta è
stata messa in pratica da Monica Matticoli in un corso di orientamento della
Provincia di Siena per ricostruire le competenze dei partecipanti e disegnare
un progetto professionale.
5 Sarà
a questo punto chiaro
come la riaffabulazione sia un’interpretazione proposta dalla guida rispetto
all’esperienza narrata dal cliente. Detta interpretazione, rimanendo nei
presupposti della PNL, non è di tipo cognitivo o psicodiagnostico ma è un
ri—raccontare che assomiglia al <<riconoscere ciO che è>> di
Bert Hellinger e nasce a partire da me che mi incontro con te.
6 Questa proposta è stata messa in pratica da Fabio
Tamanza durante ii seminario SIPNL
Dallo spa:io problema allo spazio
dell’anima.
<Molto più tardi avrei
imparato che il pensiero non si affaccia spontaneamente
alla porta del nascosto. Non basta voler penetrare ne!1’ inconscio perché la
mente venga dietro. Il pensiero temporeggia, va avanti poi indietro, esita, sta
in agguato ma poi quando viene il momento giusto, si ferma davanti alla porta
come un cane da punta, rimane paralizzato. Poi, è i padrone che deve far alzare
la selvaggina>
Marie Cardinal,
Le parole per
dirlo, pag. 101
Bibliografia
Michail Bachtin - L’autore e l’eroe _ Einaudi, Torino 1988
Marie Cardinal - Le parole per dirlo - Bompiani,
Milano 2000
Intervista radiofonica RAI del 22 febbraio 1998 ad Adriana Cavarero - L’identità - reperibile in internet all’indirizzo: http://www.emsf.rai.it/radio/trasmissioni.asp_d=87
Adriana Cavarero - Tu che mi guardi, tu che mi racconti. Filosofia della narrazione - Feltrinelli, Milano 2003
R. Dilts, T.Hallbom, S. Smith - Convinzioni - Astrolabio, Roma 1998
Robert Dilts - Leadership e visione creativa -Guerrini e ass., Milano 1998
Milton Erickson - L’uomo di febbraio - Astrolabio, Roma 1992
Bert Hellinger, Gabriella ten Hovel – Riconoscere ciò che è. La forza rivelatrice delle costellazioni familiari - URRA, Milano 2001
James Hiliman - Fuochi blu - Adeiphi, Milano 1996 Luce Irigaray - lo amo a te. Verso una felicità nella Storia - Bollati—Boringhieri, Torino 2000
Tad James, Wyatt Woodsmall - Time Line. La ristrutturazione dell’esperienza temporale con Ia programmazione neurolinguistica - Astrolabio, Roma 2001
Paul Ricoeur - Tempo e racconto - Jaca Book, Milano 1988
Paul Ricoeur - Se come un altro - Jaca Book, Milano 1993
Ian Robertson - Intelligenza visiva - Rizzoli, Milano 2003
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