Da “Appunti sulla Programmazione Neurolinguistica", 
                Convegno 
              29–32 Marzo 1996, Sonda, Torino, 1997, pp. 76 - 81
              
“Ho talmente tanti problemi che non so da dove cominciare”, 
              esordì l’uomo
              sulla quarantina con un viso abbastanza infelice da avvalorare le 
              sue affermazioni.
              “Nella mia vita niente va mai per il verso giusto.
              Non faccio che ritrovarmi invischiato in rapporti di prevaricazione,
              prima con mio padre, poi con mia moglie e dopo il divorzio con altre 
              amiche e amanti.
              So che sono io a cercare le persone sbagliate, ma come faccio a 
              smettere?
              Anche dopo aver capito qual è il mio problema, e Dio sa quanta 
              psicoanalisi ho fatto,
              continuo a finire con le persone sbagliate. Mi succede anche al 
              lavoro.
              Anche i miei figli mi maltrattano. E persino il cane!”.
              Il santo ascoltò l’uomo che proseguiva sullo stesso 
              tono; poi,
              durante una pausa, gli chiese: “Come ti trovi con la tua altezza”?
              “La mia altezza? Non ci ho mai pensato.” Si accigliò.
              “La mia altezza?” Rifletté. “La mia altezza 
              va bene. Perché?”
              “Quelli di noi che non sono inesorabilmente imprigionati nella 
              miseria e nella malattia
              fin dalla nascita”, rispose il santo, “hanno davanti 
              a sé un mondo intero di scelte.
              Ho riflettuto a lungo su questo argomento e ora so che nella vita
              l’unica cosa su cui non abbiamo scelta è la nostra 
              altezza.
              E’ l’unica cosa predeterminata.
              Possiamo lamentarci della nostra altezza, ma di nient’altro.”
              “Sarebbe sciocco lamentarsene”, commentò il pellegrino 
              dall’alto
              dei tanti guai seri per cui protestava.
              “Sì, molto sciocco, dato che non possiamo farci niente”, 
              convenne il santo con un sorriso.
              “Però meno sciocco che lamentarsi per i problemi della 
              vita
              che possiamo scegliere di cambiare”
              Susan Trott, da Il santo.
Relativamente al contesto terapeutico, oggetto di questo articolo, 
              posso affermare che, almeno nel nostro ambito di operatori Pnl, 
              tutti condividiamo l’idea che la realtà sia prodotta 
              da ognuno di noi a partire da peculiari “presupposti di osservazione”, 
              determinati essenzialmente dai soggettivi filtri di percezione e, 
              soprattutto, dalle credenze su noi, gli altri e il mondo sviluppate 
              nel corso delle nostre esperienze di vita.
              Riflettendo su cosa funziona e perché negli interventi Pnl, 
              che non possono non essere riconosciuti estremamente efficaci e 
              veloci, mi sono fatto l’dea che le tecniche che usiamo, non 
              disgiunte dal nostro modo peculiare di usarle, non fanno altro che 
              aiutare il cliente a cambiare i suoi presupposti di osservazione 
              invitandolo implicitamente a riconsiderare la sua realtà 
              e la sua storia in base a punti di vista diversi.
              Dato che “Noi creiamo nel vero senso della parola il mondo 
              che distinguiamo, distinguendolo, se non operiamo una distinzione, 
              ciò che essa avrebbe precisato non esiste nel nostro ambito 
              fenomenico” (Keeney, 1985).
              Le Tecniche invitano il cliente ad operare nuove distinzioni in 
              modo che il mondo da lui “creato” ne risulti cambiato; 
              per dirla con Montalvo (1976) “La terapia è un accordo 
              interpersonale per abrogare le regole usuali che strutturano la 
              realtà, al fine di darle nuova forma”. Essa diviene 
              allora una sfida ai presupposti del cliente e, implicitamente, una 
              modalità per il terapeuta di accostarsi senza presupposti 
              al cliente.
              Il Programmatore proponendo una tecnica, si esime dal fare interpretazioni 
              o dallo sviluppare giudizi nei confronti del cliente, ma contemporaneamente 
              prende parte attiva alla ricostruzione del mondo della sua esperienza: 
              la tecnica fornisce infatti una struttura di riferimento cognitivo 
              grazie alla quale il cliente può riorganizzare la propria 
              percezione del mondo, in primo luogo scoprendo le strategie usate 
              per generare il problema e i presupposti consci o inconsci sottesi 
              al prodursi del problema stesso. Nel brano citato all’inizio, 
              ad esempio, il santo, tramite una metafora (che è una tecnica 
              di Pnl), offre al pellegrino la possibilità di cambiare la 
              percezione di sé e delle proprie risorse.
              In pratica una tecnica è quindi una risorsa che permette 
              al cliente di cambiare la propria epistemologia: “per vedere 
              un mondo alternativo bisogna esserci dentro”, dice Keeney 
              parafrasando un concetto tratto dall’opera di Castaneda, ed 
              è mia convinzione che la possibilità, offerta dalle 
              tecniche di Pnl, di vedere mondi alternativi sia concettualmente 
              molto vicino a ciò che Don Juan intendeva per “fermare 
              il mondo”. Ma ecco le sue idee al proposito: “Il primo 
              compito dell’insegnante è far capire che il mondo che 
              pensiamo di vedere è solo un’immagine, una descrizione 
              del mondo…Gli stregoni chiamano questa operazione ‘interruzione 
              del dialogo interno’ e sono convinti che sia la tecnica più 
              importante che un apprendista possa imparare”. (Castaneda 
              1974, p. 238).
              In sostanza, quello cui mira Don Juan e cui miriamo anche noi come 
              operatori in Pnl è lo spostamento dal giudizio sui fatti 
              alla pura e semplice acquisizione dei fatti in vista di un livello 
              di consapevolezza tale da cambiare la realtà del cliente 
              a suo vantaggio.
Presupposti teorici dell’atteggiamento terapeutico
Il presupposto teorico di questo atteggiamento terapeutico è 
              ben delineato nell’opera di Maturana e Varala, che hanno dato 
              un contributo determinante a livello di epistemologia e per la comprensione 
              e dei concetti di “Organizzazione” e “Struttura”.
              In base ai loro studi si può considerare l’Organizzazione 
              come l’insieme di quei rapporti – tra i componenti di 
              qualcosa – che sono necessari a designare l’appartenenza 
              di questo qualcosa a una specifica classe; laddove invece una struttura 
              sarebbe semplicemente l’insieme dei componenti e dei rapporti 
              che di fatto possiamo riscontrare in un oggetto appartenente ad 
              una data Organizzazione. Ad esempio: la “goletta”, il 
              “caicco”, il “Flying Yunior” soddisfano 
              tutti quello specifico rapporto (galleggiamento, propulsione a vela) 
              tra componenti che li fa appartenere a una medesima Organizzazione 
              (barca a vela), ma sono tutti oggetti differenti, ciascuno con varie 
              componenti e rapporti; ciascuno, cioè, con una struttura 
              particolare.
              Allora qualunque tipo di cambiamento nelle loro strutture, purché 
              non coinvolga quello specifico rapporto che li fa appartenere alla 
              classe delle barche a vela, non comporta alcun cambiamento a livello 
              di organizzazione (sarebbero sempre barche a vela); mentre, viceversa, 
              un cambiamento che alterasse quei precisi rapporti che garantiscono 
              galleggiamento e propulsione a vela, li farebbe appartenere a un’altra 
              Organizzazione: smontando una barca a vela e cambiando certe relazioni 
              tra le sue componenti, essa potrebbe diventare un’originale 
              opera d’arte da esporre alla prossima biennale.
              In termini di Pnl, il livello di Organizzazione corrisponde all’identità 
              (“cosa”, “chi”), quello di struttura ai 
              valori, alle credenze, alle capacità (“come”).
              Ora: tutti gli esseri umani, secondo Maturana e Varala, sono organizzati 
              in modo da perseguire il mantenimento e la realizzazione di un’unica 
              cosa: se stessi. Ma lo possono fare ricorrendo a “strutture” 
              diverse: un individuo paranoie, ad esempio, proprio in relazione 
              alle esperienze fatte e agli apprendimenti da esse derivati, percepisce 
              l’ambiente che lo circonda come ostile, reagendo quindi in 
              modo ostile e tale da provocare ostilità, per percepire la 
              stessa allo scopo (positivo) di mantenere una solida percezione 
              del sé.
Il nostro ruolo come programmatori
Tutto ciò rinforza la mia idea che l’unico vero cambiamento 
              che come programmatori possiamo operare è quello che tende 
              a rendere consapevole l’individuo dell’esistenza di 
              infinite strutture e di modi per creare la propria realtà, 
              finalizzati ad automantenersi interagendo con altri individui organizzati 
              (autopoiesi).
              A me pare che l’unico nostro ruolo, come terapeuti, sia quello 
              di aiutare la gente a creare e a mantenere una propria, peculiare, 
              salda identità, poiché la specifica Organizzazione 
              di ogni essere umano, realizzata attraverso diverse strutture, è 
              la produzione di se stesso in senso fisico e del suo mondo in senso 
              psichico; l’essere umano tende a realizzare se stesso (questa 
              è l’intenzione positiva per eccellenza) creando il 
              suo mondo.
              In tale ottica diviene chiaro come la percezione non possa più 
              essere considerata un subire il mondo pur filtrandolo, ma debba 
              essere considerata un modo di agire sul mondo attraverso quell’operazione 
              del distinguere che crea la realtà.
              Ecco dunque che assume importanza capitale, nella nuova epistemologia 
              terapeutica, che il cliente apprenda di poter attivamente, cioè 
              intenzionalmente, cambiare la propria realtà: proprio quello 
              che costantemente, in Pnl, l’operatore invita a fare tramite 
              l’uso delle tecniche, sottolineando, col mantenere rapport, 
              il rispetto assoluto dell’identità dell’altro.
              E credo che, come Don Juan, il terapeuta Pnl sia portato a lavorare 
              sull’intenzionalità e sulla consapevolezza piuttosto 
              che sul recupero dei contenuti rimossi; e sul pensiero positivo, 
              che per me significa andare verso, piuttosto che su quella neutralizzazione 
              delle percezioni negative della propria realtà, che per me 
              coincide con un “via da”.
Il determinarsi storico delle mappe
Possiamo parlare di un comportamento indesiderato per un dato individuo 
              come di una sua tradizione interna che è, oltre che un modo 
              di vedere e di agire, insomma di distinguere, anche un modo di nascondere. 
              Ma ogni tradizione si basa su ciò che una storia strutturale 
              ha accumulato come ovvio, come regolare, come stabile e su cui si 
              può cominciare a riflettere solo incontrando ciò che 
              perturba tale regolarità
              Se allora ci pensiamo bene, scopriamo che ogni nostra tecnica è 
              perturbatrice della storia strutturale dei nostri clienti; una Ristrutturazione 
              in 6 fasi, ad esempio, dove l’implicito più importante 
              è che si possa realizzare la stessa intenzione organizzativa 
              strutturando diversamente il proprio comportamento, è sufficiente 
              a destabilizzare l’apparente ovvietà di molte parti 
              della mappa del mondo del cliente.
              Diciamo che questi ha in sé uno spazio problema all’interno 
              del quale, a causa dei suoi filtri neurologici, storici e culturali, 
              delle sue credenze e valori, un dato fatto viene percepito in un 
              certo modo, doloroso, problematico ecc., o addirittura produce un 
              certo comportamento indesiderato o un sintomo. In ultima analisi 
              ciò a cui mira il Programmatore con una determinata tecnica 
              o con il semplice uso delle strutture linguistiche proprie della 
              Pnl, è far riconsiderare al cliente il fatto da un diverso 
              punto percettivo. E anche se può sembrare semplicistico, 
              credo che in tutte le forme di terapia o di intervento aziendale 
              succeda proprio ciò; sto dicendo che, a mio parere, far terapia 
              o problem solving significa semplicemente favorire la riorganizzazione 
              percettiva, questa volta in modo funzionale al cliente, attorno 
              ad un nucleo di mappatura disfunzionale.
              Ciò che in realtà sollecitiamo come agenti di cambiamento, 
              sono nuove e creative reazioni ai fatti, aumentando le scelte dei 
              nostri clienti.
La vita non è come dovrebbe essere, è quella che è. E’ il modo di affrontarlo che fa la differenza.
Bibliografia
              C. T. Tart - Psicologie traspersonali - Crisalide, Spigno Saturnia 
              1994
              B. P. Keeney – L’estetica del cambiamento – Astrolabio, 
              Roma 1990
              C. Castaneda – A scuola dallo stregone – Astrolabio, 
              Roma 1974