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Leader e cambiamento.
Emozioni, risorse, limiti, confini

di Anna Maria Megna

Da “Strategie. Rivista Italiana di Programmazione Neuro Linguistica”,
n. 3, settembre –ottobre 2003, pp.23 – 30

O Grande Spirito,
concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare,
il coraggio di cambiare le cose che posso cambiare,
e la saggezza di capirne la differenza

(preghiera Cherokee)


Abitiamo un mondo caratterizzato da continui mutamenti ed incertezze, dove le organizzazioni sono sempre più impegnate a ri-pensare e a ri-disegnare la propria cultura e le proprie azioni. In questo contesto, la figura del leader è chiamata a percorrere strade insolite, a volte anche sconnesse e non asfaltate, giocando un ruolo primario come catalizzatore di nuovi modi di vivere nell’organizzazione e come attivatore e facilitatore del cambiamento.
E’ indispensabile uno stile di leadership evoluto e innovativo, capace di proiettare una visione chiara della direzione da seguire, di tenere un atteggiamento aperto e costruttivo, di trasformare qualsiasi tipo di problema in un’opportunità di crescita, di mobilitare in ogni individuo tutta l'energia che può esprimere, di costituire un fondamentale punto di riferimento per gli altri componenti dell’organizzazione.
E’ uno stile in cui convivono da un lato la capacità di entrare in sintonia con i collaboratori, soprattutto sul piano emotivo, e dall’altro la capacità di agire su tutte le componenti interne ed esterne del sistema azienda.
In un tempo dove l’unica costante è il cambiamento, la vita dell’organizzazione non è più determinata solo dall’ambiente in cui agisce o dalle “abitudini” che muovono il suo sistema interno: la differenza che fa la differenza è la spinta evolutiva che riesce a realizzare.
Sintetizzando, un leader deve essere in grado di padroneggiare abilità relative a quattro aree: la guida di se stesso, la relazione con i collaboratori, la capacità di gestire strategie atte al raggiungimento degli obiettivi, il governo del sistema nel quale opera (Dilts 1998, Dilts 2003).
“Essi hanno la responsabilità di creare organizzazioni nelle quali le persone continuano ad espandere le loro capacità di comprendere la complessità, di chiarire la visione e di migliorare i modelli mentali condivisi…Questo nuovo modo di vedere è vitale…Assumere questo impegno è il primo atto di leadership… ”(Senge 1992).

Questo modello di leadership evoluta ed innovativa è da tempo apprezzato e condiviso pubblicamente in molte situazioni che vedono come protagoniste le organizzazioni: direzioni di aziende, gruppi di lavoro, associazioni, corsi di formazione, convegni, dibattiti. Nonostante ciò non è raro imbattersi in leader che, pur dichiarando pubblicamente una piena condivisione, si trovano poi a gestire la realtà delle loro organizzazioni in maniera non corrispondente a quanto dichiarato, continuando a lavorare concentrati sul dito che indica la luna.
Forse ci provano, ma, continuando nei fatti ad applicare vecchi modelli di leadership non riescono a guidare il cambiamento e a motivare profondamente i loro collaboratori, né a costruire quella visione comune e quel gioco di squadra necessari per realizzare in modo eccellente gli obiettivi aziendali
“Deviati e frastornati dal romanticismo letterario sulla leadership e connessa leaderologia…non ci accorgiamo dell’umanità quotidiana dei leader in servizio. Più arrivisti che ambiziosi; più invidiosi che emulativi; più forti con i deboli e deboli con i forti…Ad una osservazione empirica risulterebbe che una buona parte dei leader in servizio fallisce…in un’azienda che non sia una caserma…Abbagliati dalla luce della ribalta la platea è per loro un buco nero. Assordati dal tacito consenso, le loro orecchie non sentono altro” (Trupia 1998).

Quando tutto ciò accade, ci troviamo di fronte quindi ad una discrepanza tra quanto dichiarato e/o condiviso cognitivamente e quanto effettivamente agito nel quotidiano.
Se osserviamo bene questa discrepanza è possibile dedurre che :

  1. comprendere e condividere cognitivamente un modello non significa necessariamente avere la capacità di applicarlo
  2. comprendere e condividere cognitivamente un modello non significa necessariamente avere l’effettiva volontà di applicarlo

La struttura di fondo è, a mio avviso, di estremo interesse per mettere in luce e comprendere cosa abita quel territorio di nessuno che costituisce la sottile linea di demarcazione tra una leadership efficace ed una leadership inefficace.
Si tratta di un’analisi da approfondire in relazione ad ogni specifica situazione, pur tuttavia si può ricercare e definire una struttura generale alla base di questa discrepanza.
Osservando la realtà dei modelli è possibile verificare che esistono leader che comprendono e condividono una leadership evoluta e innovativa e agiscono effettivamente applicandola nei fatti.
Che cosa porta questi leader a costruire e gestire la coerenza tra contenuti compresi, condivisi e dichiarati e contenuti impliciti nei loro comportamenti e nelle loro azioni?
E invece che cosa manca a quel leader che:
* proclama l’importanza di uno spirito di collaborazione, di partecipazione e di condivisione di responsabilità da parte dei collaboratori, e poi li disorienta usando uno stile di natura autoritaria che li squalifica, o peggio li disconferma
* proclama l’importanza di costruire e condividere uno sguardo verso l’orizzonte, l’identità e i valori dell’organizzazione, e poi si preoccupa solo di raggiungere risultati immediati che riconfermino prima di ogni cosa la sua immagine?
Una cosa certamente non manca a quel leader: la capacità di produrre danni per l’organizzazione; perché quando la leadership assume comportamenti schizofrenici e paradossali diventa poco credibile, confusa, demotivante, inefficace e non consente la costruzione di situazioni che favoriscono e facilitano l’innovazione, l’evoluzione, il cambiamento e la realizzazione di risultati positivi. Il leader che agisce ed opera all’interno di un’organizzazione è responsabile al cento per cento dei risultati della propria comunicazione; produce impressioni, reazioni, valutazioni, decisioni, che si formano e sono influenzate in gran parte da messaggi non verbali e si traducono in dichiarazioni, comportamenti e azioni all’interno dell’organizzazione, che hanno a loro volta un impatto sul processo complessivo di comunicazione interna.

Per comprendere e delineare meglio la struttura del fenomeno, mi sembra opportuno porre alcune domande che non necessariamente avranno risposta in questa sede, ma che vogliono aprire alcuni punti di discussione e di riflessione:

 

Siamo di fronte a quello che secondo me è il punto cruciale del problema: quanto la non applicazione dipende dal bisogno di mantenere se stessi all’interno di una realtà conosciuta e, in quanto tale, meglio gestibile (almeno nella mappa mentale di chi la mantiene)? e quanto le emozioni possono condizionare l’applicazione o meno di modelli e strategie riconosciute e condivise?
“Come i bambini al buio tremano e temon di tutto, / così noi alla luce talvolta temiamo di cose / che non son più tremende di quelle che temono i bimbi / al buio e pensano che accadranno loro” (Lucrezio, Sentenze, 471).
Se la comprensione e la condivisione di un modello di leadership evoluta e innovativa porta ad una sua non effettiva e concreta applicazione, prendiamo atto che accade qualcosa: l’aspetto emozionale si impone sulla razionalità e costringe l’individuo a pensare, parlare e agire in base a dei condizionamenti e a rompere quella coordinazione tra emozioni e pensieri che consente all’uomo una così vasta gamma di possibilità espressive.

Ma cosa si intende per emozione?
Il Dizionario di Psicologia (Galimberti 1992) la individua come una reazione ad uno stimolo ambientale che provoca reazioni fisiologiche, viscerali, espressive e psicologiche.
Altri autori forniscono diversi contributi: “L’emozione è il frutto del combinarsi di un processo valutativo mentale, semplice o complesso, con le risposte disposizionali a tale processo, per lo più dirette verso il corpo, che hanno come risultato uno stato emotivo del corpo, ma anche verso il cervello stesso…che hanno come risultato altri cambiamenti mentali” (Damasio 1995).
“Il ruolo delle emozioni è di segnare gli avvenimenti importanti per l’individuo e di mettere in atto i comportamenti che permettono di gestirli” (Filliozat 1998).
Secondo la Programmazione Neuro Linguistica “Ciascuno di noi crea una rappresentazione del mondo in cui vive; creiamo cioè una mappa o modello, che usiamo per originare il nostro comportamento. La nostra rappresentazione del mondo determina in larga misura l’esperienza del mondo che avremo, il modo in cui lo percepiremo, le scelte che ci sembreranno disponibili vivendoci dentro” (Bandler, Grinder 1981)
E dunque le emozioni sono una risposta che nasce dalla nostra visione del mondo, dal processo di filtraggio che quotidianamente agiamo, dai valori, dai princìpi e dalle convinzioni che noi abbiamo sul mondo e dalla nostra cultura di appartenenza.
Tutto ciò crea un condizionamento sulle emozioni e sui comportamenti che ne conseguono, che può essere suscitato da qualcosa che percepiamo dall’esterno o dall’interno di noi stessi .
“Noi creiamo il mondo che percepiamo, non perché non esiste una realtà fuori dalla nostra mente, ma perché scegliamo e modifichiamo la realtà che vediamo in modo che si adegui alle nostre convinzioni sul mondo in cui viviamo” (Bateson 1989).
Ma cosa conduce quel leader, che accetta cognitivamente un nuovo modello di leadership ad applicare nei fatti un altro contraddittorio modello?
“Guardare al di là di ciò che si conosce richiede nuovi schemi mentali, occhi e orecchi nuovi” (Hesselberg, in AA.VV. 1996)
Quale emozione impedisce a quel leader di guardare oltre i suoi schemi mentali? E soprattutto cosa lo lega così tanto agli schemi mentali già automatizzati ?
Potremmo forse chiederci: da che cosa si sta difendendo e perché si deve difendere?
La mia ipotesi è che in questa struttura sia predominante un’emozione in particolare: la paura; in tutte le accezioni e significati che questa emozione può avere (sospetto, diffidenza, sfiducia, ansia, angoscia, preoccupazione) e con le dimostrazioni che spesso esprime: collera, rancore, risentimento, disprezzo, irritazione, indifferenza, insofferenza, invidia, presunzione, rabbia.
“Quanto la resistenza al cambiamento del leader dipende dal sistema e dalla paura di ciò che potrà accadere?” ( O’Connor, McDermott 2003 ).
Ma paura di che ?
Di perdere il controllo? Di perdere uno status? Di non potercela fare ? Di non essere adeguati ? Di non essere considerati? Di fallire ? Di essere smascherati ? (2)
Al di là del contenuto, si tratta di una paura legata all’aspettativa di un ipotetico, e per lo più poco credibile, pericolo futuro. E’ una proiezione negativa nel futuro di esperienze infantili vissute nel passato, in assenza di risorse.
“…l’Osservatore vede solo quello che i suoi strumenti di osservazione gli consentono di vedere” (Fortunato 1997).
La persona, dominata da questa paura, non è consapevole che nel suo presente (tempo mai vissuto) ha acquisito tali risorse o può facilmente acquisirle.
Spesso è una paura che si tenta di ignorare o rimuovere, ma essa rimane e crea vittime: la persona che la prova e coloro che appartengono al suo sistema. Quando la paura non viene riconosciuta e affrontata, la persona rimane prigioniera delle proprie convinzioni, percezioni e aspettative negative che minano la sua creatività e la sua capacità di affrontare positivamente il cambiamento.
Dal mondo interno, dove domina questa paura, nasce il bisogno di dominare gli altri con gli strumenti che si hanno a disposizione: il proprio ruolo, il controllo, le parole, l’imposizione…
Tutto pur di non sentire quella paura.
E allora?
Per Robert Dilts esistono tre interferenze che impediscono i cambiamenti: “Nella prima, una parte della persona non vuole il cambiamento…Il secondo tipo di interferenza si ha quando la persona non sa come crearsi una rappresentazione del cambiamento, o non sa come comportarsi nel caso che il cambiamento abbia luogo.” , e il terzo tipo “La persona deve concedersi l’opportunità di utilizzare le sue nuove cognizioni, ma a volte si nega l’opportunità.” (Dilts, Hallbom, Smith 1998).
Ma qual’ è la differenza che fa la differenza tra:
1.coloro che agiscono una leadership evoluta ed innovativa e
2.coloro che la comprendono, la condividono cognitivamente e non l’agiscono?
Quali convinzioni hanno sulla vita, sugli altri e su loro stessi quei leader che riescono ad applicare nuovi modelli? Quale tipo di minaccia o di ferita crea lo stato di difesa dei secondi? Via da cosa stanno andando? Come agisce o non agisce la paura su di loro?

Se rivolgiamo l’attenzione a coloro che vogliono, sanno e si concedono l’opportunità di agire secondo un modello evoluto e innovativo, possiamo verificare che essi hanno la capacità di sintetizzare in sé tre caratteristiche:

Sono supportati da valori e da convinzioni che li portano a considerare possibile “un mondo a cui le persone desiderano appartenere” (Dilts 1998).
Convinzioni legate alla possibilità.
Nel loro mondo la paura, quando c’è, assume la forma di tensione costruttiva, che genera curiosità, coraggio, desiderio di realizzazione e li porta a tenere presente le conseguenze delle loro azioni, ma non genera profezie autoavveranti e non impedisce loro l’azione.
La visione del cambiamento è la visione di un cambiamento generativo, che crea nuove possibilità e li arricchisce.
Coloro che non riescono ad agire una leadership evoluta e innovativa sono ancorati a convinzioni e pregiudizi limitanti che appartengono al loro sistema di archiviazione del mondo. Un sistema che ha per presupposto la separazione, che stabilisce continuamente dei confini e che fa associazioni tra situazioni e stati di benessere/malessere, sicurezza/insicurezza , forza/debolezza, in conseguenza di meccanismi di cause-effetto ed equivalenze complesse.
Si innescano emozioni e si determinano comportamenti attivati da automatismi acquisiti nel passato e spesso obsoleti e/o inadeguati. Un sistema che, mancando di reazioni di scelta, non permette all’individuo la possibilità di provare emozioni ed agire comportamenti diversi dai soliti archiviati.
“Conduco un certo tipo di vita; penso secondo certi schemi; ho certe credenze e certi dogmi e non voglio che questi schemi vengano turbati, perché in essi ho le mie radici. Non voglio che vengano turbati perché i turbamenti producono uno stato di ignoranza che io non gradisco. Se vengo strappato a tutto ciò che conosco e in cui credo, voglio essere ragionevolmente sicuro dello stato di cose a cui vado incontro. Così, le cellule cerebrali hanno creato uno schema e quelle cellule cerebrali si rifiutano di creare un altro schema, che potrebbe essere incerto.
Il movimento dalla certezza all’incertezza è ciò che chiamo paura…non ho paura nel momento presente, niente mi sta accadendo, nessuno mi sta minacciando o mi sta portando via qualcosa. Ma al di là del momento presente c’è uno strato più profondo della mente che inconsciamente o consciamente sta pensando a cosa potrebbe accadere nel futuro o si sta preoccupando che qualcosa del passato possa raggiungermi. Dunque, ho paura del passato e del futuro.” (Krishnamundi 1998).
Si realizza un orientamento negativo che è parte del problema e impedisce di svolgere al meglio il ruolo di leader: “L’orientamento negativo è un grosso ostacolo alla volontà di portare nella propria vita uno spirito di innovazione” (Bandler 2003).

E come orientare verso la direzione del cambiamento?
Come associare il cambiamento ad un arricchimento e come sciogliere la paura e sostituirla con l’anticipazione positiva, la curiosità, la determinazione?
Una cosa è evidente: un intervento esclusivamente cognitivo, magari con una stupenda e convincente logica sequenziale, anche se chiaro, compreso e condiviso, può portare ad escludere parte dei destinatari dalla concreta possibilità di messa in pratica.
L’intervento va pensato ed agito in direzione di un’evoluzione dell’intero sistema persona, partendo dal presupposto che se esistono persone che provano emozioni diverse e reagiscono in maniera diversa di fronte allo stesso modello, significa che non è il modello a causare la loro risposta, ma sono i loro stessi processi interni a influenzare i comportamenti e la qualità dell’esperienza.
“Se cambiate la natura di quei processi interni, altererete in qualche modo le vostre sensazioni e azioni” (Cameron-Bandler, Gordon, Lebeau 1993).
Perché un leader riesca ad applicare concretamente un modello di leadership evoluta ed innovativa non è sufficiente che lo comprenda e lo condivida cognitivamente, ma è indispensabile che il suo mondo interno entri in contatto con le risorse che aprono le porte alle scelte e alle possibilità. La Programmazione Neuro Linguistica possiede strumenti come la Time Line, il Reimprinting, gli Stati Profondi, che possono agire sul sistema, condurre verso un cambiamento dello stesso e fornire alla persona una maggiore gamma di scelte possibili.

L’ emozione all’origine del comportamento è in funzione di diversi elementi:

Ciascuna di queste variabili può essere un punto da cui partire per intervenire e modificare i processi interni che influenzano e condizionano questa emozione.
Costruendo un percorso dove la persona potrà:
- ascoltare le proprie sensazioni fisiche
- riconoscere il segnale
- accettarlo
- definire la propria emozione e accettarne l’intenzione positiva (accettare ciò che è per poterlo modificare)
- capire qual è l’associazione stimolo/risposta
- agire e lasciar andare via l’emozione.
E:
- divenire consapevole del modello (riconoscendone le convinzioni e i comportamenti) (3)
- identificare i propri pattern comportamentali e capire da dove provengono
- individuare l’intenzione positiva e cercare alternative al comportamento cristallizzato che la rispettino
- ricercare le risorse e attivarle.

Per generare il cambiamento.
Per diventare un leader evoluto e innovativo nel proprio mondo interno.
Per avere e vivere la possibilità di scegliere.

“…è quel che non vidi… lo
cercai ma non c’era, in tutta quella sterminata città c’era tutto tranne/
C’era tutto/
Ma non c’era una fine. Quel che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo/
Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu, sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi fare. Loro sono 88. Tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu/
Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me/
Ma se io salgo su quella scaletta e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi/
Milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai e questa è la vera verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita/
Se quella tastiera è infinita, allora/
Su quella tastiera non c’è musica che puoi suonare. Ti sei seduto su un seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio/
Cristo, ma le vedevi le strade?/
Anche solo le strade, ce n’era a migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una/
A scegliere una donna/
Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire/
Tutto quel mondo/
Quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce/
E quanto ce n’è/
Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell’enormità, solo a pensarla? A viverla…/
Io sono nato su questa nave. E qui il mondo passava, ma a duemila persone per volta. E di desideri ce n’erano anche qui, ma non più di quelli che ci potevano stare tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicità, su una tastiera che non era infinita.
Io ho imparato così. La terra, quella è una nave troppo grande per me. E’ un viaggio troppo lungo. E’una donna troppo bella. E’ un profumo troppo forte. E’ una musica che non so suonare. Perdonatemi. Ma io non scenderò.”
Alessandro Baricco, Novecento


Note
(1)Con il termine “emozioni distruttive” si intende qui utilizzare un duplice significato: da un lato quello di emozioni dannose a sé e agli altri; dall’altro nel significato di emozione che interviene sulla percezione della realtà, creando condizionamenti e impedendo all’individuo di agire al meglio delle proprie capacità e in condizioni di lucidità mentale (Dalai Lama, D. Goleman 2003).
(2)Sulle radici della paura vedi Krishnananda 1997, Krishnamurti, 1998.
(3)E’ spesso difficile identificare le convinzioni, perché esse agiscono per la maggior parte dei casi a livello inconscio, e proprio quelle di cui siamo più inconsapevoli sono quelle che hanno una maggiore influenza.

Bibliografia
G. Bateson – Verso un’ecologia della mente – Adelphi, Milano, 1976
R. Bandler, J. Grinder – La struttura della magia – Astrolabio, Roma, 1981
G. Bateson – Mente e natura – Adelphi, Milano, 1984
G. Bateson, M. C. Bateson – Dove gli angeli esitano – Adelphi, Milano, 1989
U. Galimberti - Dizionario di psicologia – Utet, Torino, 1992
P. M. Senge – La quinta disciplina – Sperling & Kupfer, Milano, 1992
L. Cameron-Bandler, D. Gordon, M. Lebeau – Guida per inventarsi il proprio futuro – Astrolabio, Roma, 1993
S. Andreas, C. Andreas – Cambiare la mente – Astrolabio, Roma, 1993
A. Baricco – Novecento – Feltrinelli, Milano, 1994
C. Andreas, T. Andreas – I nuclei profondi del sé – Astrolabio, Roma, 1995
A. R. Damasio – L’errore di Cartesio, Adelphi, Milano, 1995
AA.VV. – Il leader del futuro – Olivares, Milano, 1996
Krishnananda - A tu per tu con la paura – Urra, Milano, 1997
G. Bateson - Una sacra unità – Adelphi, Milano, 1997
S. I. Greenspan – L’intelligenza del cuore – Mondadori, Milano, 1997
G. Fortunato – Il rock è morto. Il rock vive per sempre – in Appunti sulla Programmazione Neurolinguistica, Convegno 29 – 32 Marzo 1996, Sonda, Torino, 1997
R. Dilts – Leadership e visione creativa – Guerini e Associati, Milano, 1998
R. Dilts, T. Hallbom, S. Smith – Convinzioni, Astrolabio, Roma, 1998
J. LeDoux – Il cervello emotivo – Baldini & Castaldi, Milano 1998
I. Filliozat – Il quoziente emotivo - Piemme, Casale Monferrato, 1998
R. Dilts, T. Hallbom, S. Smith – Convinzioni – Astrolabio, Roma 1998
J. Krishnamurti – Sulla paura - Astrolabio, Roma, 1998
Krishnananda – Uscire della paura – Urra, Milano, 1999
P. Trupia –La globalizzazione che ci aspetta - in Hamlet, n. 11, 1998
A. R. Damasio – Emozione e coscienza - Adelphi, Milano, 2000
M. Scardovelli – Subpersonalità e crescita dell’io – Borla, Roma, 2000
T. James, W. Woodsmall – Time Line – Astrolabio, Roma, 2001
G.Fortunato – Seminario sulle emozioni – Bologna ,2001
D. Goleman, R. E. Boyatzis, A. McKee – Essere leader – Rizzoli, Milano, 2002
J. Hillman - Il potere – Rizzoli, Milano, 2002
J. O’Connor, I. McDermott – Il pensiero sistemico - Sperling & Kupfer, Milano, 2003
R. Dilts – Creare modelli con la PNL – Astrolabio, Roma, 2003
R. Dilts - I livelli di pensiero - NLP Italy, Bergamo, 2003
R. Dilts – Il manuale del coach – NLP Italy, Bergamo ,2003
R. Bandler – Il tempo per cambiare – NLP Italy, Bergamo, 2003
Dalai Lama, D. Goleman – Emozioni distruttive – Mondadori, Milano, 2003

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